Il capitano del Cagliari Daniele Conti |
martedì 11 dicembre 2012
Conti, 400 e quel cognome...
giovedì 6 dicembre 2012
Non solo calcio: tuffo nel mondo della muay thai
Fin da quando veniamo al mondo siamo costretti a combattere. Combattere contro un mondo nuovo, che fino a quel momento non conoscevamo. Poi il combattimento si riflette contro chi popola questo nuovo mondo e talvolta, la maggior parte delle volte, ci si ritrova a combattere anche contro se stessi. In fin dei conti la vita in se è una lotta. Una faticosa e straziante lotta. Lasciamo da parte per un attimo il calcio e proviamo a guardare oltre la staccionata. Esiste un mondo-sportivo- che in pochi conoscono, che in pochi apprezzano. Un mondo dove il dolore e la sofferenza si trasformano in forza, e perché no, magari anche in successo. Dove il sudore è sempre presente e la fatica in crescendo sprona a fare sempre di più. Forse non tutti conoscono la muay thai, la boxe tailandese, la più efficace tra le discipline di combattimento. A dir la verità ho conosciuto questa straordinaria disciplina di recente anche io. Un caro amico me l'ha fatta conoscere e pian piano ho imparato ad apprezzarne le caratteristiche e la filosofia che la contraddistingue. Il rigore, l'allenamento sodo, la costanza, la determinazione. Sono valori che, pur non avendo mai praticato questo sport, ho avuto modo di respirare apprezzando quanto di positivo essa riesca a trasmettere in tutti coloro che la praticano. "Dovrebbe avere più visibilità", pensai quando la conobbi. Per questo ho voluto intervistare Luca Corona, giovane atleta sardo, praticante thai da qualche anno.
Ciao Luca partiamo dagli esordi. Quando sei venuto a conoscenza di questa disciplina cosi lontana dalla nostra cultura?
Ciao, conobbi quest'arte quasi per caso, circa quattro anni fa. Stavo lavorando presso un Hotel vicino ad Arzachena e li incontrai un vecchio amico che mi convinse quasi per gioco a provare degli allenamenti riguardanti diverse arti marziali. Da subito rimasi colpito dal tipo di disciplina, allenamento e dedizione che rappresentava la Muay Thai. Un'arte allo stesso tempo flessibile, dura e dolorosa ma che se si riesce a comprendere anche minimamente riesce a riempirti di soddisfazioni. Da quel momento iniziai il mio allenamento quotidiano, inizialmente per conto mio a causa dei pochi soldi, da tre anni invece mi alleno in una palestra con un grande maestro e dei grandi compagni.
Cosa significa per te la thai?
Uno stile di vita, non esclusivamente uno sport. Significa dedizione, rispetto, sacrificio: sono cose che non si lavano sotto la doccia a fine allenamento. Ti forgiano dentro e, grazie a tutto questo, impari ad affrontare ogni problema della vita con la stessa voglia di combattere, di vincere. Impari a dare il tutto per tutto in ogni ambito, su tutto ciò che vuoi.
Come affronti l'allenamento e con quale costanza?
Every day, sempre. A meno che non riesca a camminare o sia in coma mi alleno praticamente ogni giorno. Purtroppo mi sono affacciato tardi a questo mondo e il tempo perso va recuperato. Vedo tutto questo anche come un occasione per scappare dalla monotonia del mondo moderno: mangi, lavori, muori.
Pensi che un giorno possa diventare molto più che una passione?
Ovviamente faccio il massimo perchè questo avvenga, ma sono ben conscio che nella società e nella realtà in cui viviamo, vivere della propria passione è spesso solo un sogno. L'importante è dare il massimo in quello che si fa, sempre. I risultati si ottengono solo in questa maniera, non conosco altri modi. Se poi uno si accontenta, beh quello non sono io.
Che consiglio dai ai giovani che vogliono affacciarsi a questa disciplina?
Costanza, costanza e ancora costanza. Ci saranno dei momenti di sconforto, nei quali ci si sente inferiori agli altri. Delle volte magari anche fuori luogo. Bisogna sempre tener presente che non siamo noi a dover entrare in questo ambiente, ma è quest'ultimo che, tramite una stremante applicazione, deve entrare dentro di noi. Perché se una cosa non la vivi fino in fondo non saprai mai coglierne il significato più vero. Anche io, che ho visto soltanto piccole sfaccettature di quest'arte millenaria, farò di tutto al fine di poterne capire sempre più l'essenza e il significato.
Luca Corona, 24 anni, giovane atleta sardo |
martedì 4 dicembre 2012
Da quando il silenzio ha un prezzo?
Diego Armando Maradona junior |
martedì 27 novembre 2012
Wes, rumori e mal di pancia: segnale di un calcio malato
Wesley Sneijder |
Al tempo dove il soldo svolazzava più liberamente, dove l’Italia
era terra ambita da tutti i calciatori, e dai presidenti che maneggiavano cash come fosse un mucchio di noccioline, tutto era più semplice. La crisi dei nostri
tempi detta altre strategie ed operazioni finanziarie differenti, più
consone all'attuale situazione. Nella precedente sessione di calcio mercato abbiamo assistito alla prova più tangibile
della crisi ( se crisi si può chiamare) che attanaglia il mondo del calcio. Via
Lavezzi, Ibra, Thiago Silva, Maicon, Verratti, per fare qualche esempio .Pezzi
pregiati del nostro calcio destinati ad un altro più ricco e senza piaghe economiche, senza
sofferenza del conto in banca. Ciò però in Italia, anche se può sembrare un paradosso, ha portato
una ventata positiva: calcio più giovane e stipendi più magri. Finalmente le
rose dispongono di più “baby” giocatori e le cifre degli stipendi sono più moderate, forse più accettabili dal
mondo esterno, critico osservatore. In casa Inter però , giusto per citare un
esempio, qualche rumore si fa sentire. Wesley Sneijder non ci sta. L’olandese
guadagna 6 milioni netti e ha un contratto fino al 2015. La proposta dell’Inter
circa l’indispensabile ed opportuno adeguamento del contratto pare non essere
scelta gradita dal giocatore. Pertanto la società è stata chiara: o il
giocatore accetta le condizioni o va via. Gennaio potrebbe segnare il capolinea
di una storia fatta di vittorie e successi. Un altro pezzo del Triplete che
migra presumibilmente verso terre più fertili. Ma il calcio è cosi, prendere o lasciare. E
intanto i media si sbizzarriscono un po’. L’idea più fantasiosa, ovvero la
scambio Sneijder-Pastore, renderebbe la partenza del talentuoso trequartista meno
amara. Ma pare impossibile che l’ex palermitano (attualmente nella nuova
capitale calcistica dell’oro) rifiuti gli ambiti quattrini degli sceicchi del PSG optando
per un contratto più modesto. Chissà , staremo a vedere. Ciò che va
sottolineato però è che il calcio deve ritornare ai tempi arcani. Dove gli
stipendi non erano cosi faraonici e il senso di appartenenza alla squadra era
più marcato e tangibile, azzarderei più sincero. Il calcio profuma quando passione e classe predominano sul danaro, quando la voglia di
mettersi in gioco mostrando il proprio valore oltrepassa le barriere dell’ottica
milionaria. È ora di rimettere in pista
i vecchi valori: giocatori che scendono in campo per i compagni , per la propria
squadra, per la società che li rappresenta, per la tifoseria. Non per il “Dio Danaro” che li manovra
come burattini e li spinge a varcare i confini dove il calcio quasi quasi nemmeno esiste ma conta solo l’ingaggio propostogli sul piatto d'argento. Occorre non perdere il lume
della ragione, altrimenti questo sport, da sport più bello del mondo rischia
di retrocedere a sport più penoso del mondo. Giocatori - e mondo circostante- avvertiti.
sabato 24 novembre 2012
In bocca al lupo Pato
Alexandre Rodrigues Da Silva, noto Pato |
giovedì 22 novembre 2012
Di Matteo, esonero ingiusto
Non è bastata ad Abramovic la coppa dalle grandi orecchie. Non si è fatto addolcire nemmeno dal double con la conquista della FA Cup. Storie strane accadono nel mondo del calcio. A questo proposito sorge spontanea la domanda: ma un allenatore per tenersi salda la panchina che deve fare? Parliamo di Roberto Di Matteo, oramai ex tecnico dei Blues, subentrato lo scorso anno a stagione in corso ad un deludente Villas-Boas, del quale faceva l'assistente. Di Matteo raccolse una squadra in frantumi riconsegnandole carisma e lucentezza. Pian piano, con il suo arrivo, la macchina Chelsea cominciò a carburare, macinando punti e riacquisendo quella sicurezza tale da affrontare con spavalderia i match che contano. Ecco che cosi il tecnico italiano, il Normal One, ( come venne etichettato per i suoi modi pacati e lo scarso narcisismo) in silenzio porta la squadra in finale di Champions League. Il Chelsea, sotto la sua guida, conquista finalmente l'ambito trofeo, mai vinto nella storia del club e tanto osannato dal patron russo che, negli anni, ha investito un notevole patrimonio con il fine soprattutto di arrivare a tale scopo. Ma Di Matteo scarta gli elogi, li dribbla con abile maestria proiettando la grande impresa (ambita da tutti i tecnici) sul suo gruppo di giocatori che sono riusciti a sollevarsi dalla crisi che li aveva demoralizzati a inizio stagione. Come per non bastare, la piccola avventura dell'allenatore, conta anche un altro trofeo. Il Chelsea, sul quale pochi scommettevano, fa doppietta e si aggiudica anche la FA Cup. Tutto questo farebbe grande qualsiasi allenatore. Da quasi sconosciuto a grande mister, non semplice traghettatore come si suol dire, ma tecnico vincente. Ciò non basta però. La stagione in corso non ha un esordio fenomenale. I risultati sono un po altalenanti, la discontinuità è percepibile. Abramovic inizia a metter in allerta il proprio mister. Lo stesso mister che qualche tempo prima sollevava la coppa più prestigiosa e si ripeteva poi con un'altra, altrettanto prestigiosa. La batosta di martedi in Champions contro la Juventus si presenta come la goccia che fa traboccare il vaso; il risultato è chiaro: esonero. Con una nota sul sito ufficiale del club, la società ringrazia l'allenatore per il lavoro svolto e spiega la fine dei rapporti come mossa inevitabile per dare una scossa alla squadra, decisamente sottotono. Con il silenzio con il quale si era presentato, Di Matteo, alla stessa maniera, se ne va. Va via da vincente e questo gli rende onore. Il calcio a volte desta dei dubbi circa la sua coerenza psicologica. Un allenatore è vincente solo quando vince! Di Matteo ha vinto! Spiegatemi voi allora perché Di Matteo ha fatto le valigie e se ne è andato a casa...
Il tecnico italiano Roberto Di Matteo, ex allenatore del Chelsea |
martedì 20 novembre 2012
Juve-Chelsea: vietato sbagliare
Lo Juventus Stadium, tempio bianconero |
lunedì 19 novembre 2012
Il Cagliari brilla a San Siro sotto il segno di Marco Sau
A Milano si è celebrata ieri la festa rossoblù. Quello di ieri pomeriggio allo Stadio Meazza in San Siro è stato un Cagliari che ha proposto un ottimo calcio senza timore nell'affrontare una squadra ben più equipaggiata come l'Inter. Gli uomini di Pulga da subito mettono in chiaro l'intenzione di voler fare la partita giocandosela a viso aperto. Lo svantaggio ad opera di Palacio su geniale assist di Cassano non frena lo spiccato entusiasmo rossoblù. La squadra sarda che presenta il tridente composto da Cossu-Nenè-Sau, si rende immediatamente pericolosa. Sulla fascia sinistra numerosi sono gli spunti del fluidificante mancino rossoblù Danilo Avelar; nella mediana Conti e Nainggolan mostrano padronanza di palleggio, la difesa risponde bene. Il gol di Sau, nel finale di primo tempo, premia il coraggio e gli spunti di una squadra che in precedenza ha trovato difficoltà nel superare il numero uno nerazzurro Samir Handanovic, in ottimo stato di forma. Primo tempo concluso e le due squadre vanno negli spogliatoi su punteggio di uno pari. La seconda parte del match si gioca ad armi pari; entrambe le controparti vogliono portarsi in vantaggio. A spuntarla però sono i rossoblù che, grazie ad una strepitosa acrobazia di Pinilla( subentrato a Nenè) e il guizzo di Sau che raccoglie il pallone precedentemente stampatosi sul palo su invenzione del cileno, mette a sedere tre uomini nerazzurri e di sinistro insacca siglando la sua doppietta personale. Da qui parte l'assedio interista. Gli uomini di Stramaccioni vogliono approfittare del mezzo passo falso dei bianconeri nell'anticipo contro la Lazio per potersi avvicinare ancor più alla vetta. Ma le avanzate interiste si scontrano con il muro rossoblù costruito da un grande Agazzi che al termine della gara, verrà premiato come uomo partita. Il pari nerazzurro arriva su autogol di Astori e grazie all'iniziativa del neo entrato Alvarez. Dopodichè s'accendono le polemiche. Ranocchia cade in area di rigore, poco oltre la linea, su contatto con Astori. L'arbitro non concede il penalty e scatta l'ira interista. Stramaccioni espulso, Moratti furioso negli spalti e nel dopo gara rilasciando dichiarazioni scottanti. Polemiche futili a parte, che rendono poco onore al calcio giocato e allo spettacolo che questi può presentare, il pari rossoblù in terra straniera è più che meritato. Il Cagliari, questo Cagliari, non deve aver paura di nessuno. La squadra, consapevole dei propri mezzi e conscia di avere un buon organico che può dar vita a delle prestazioni decisamente buone, può togliersi diverse soddisfazioni. Intanto la coppia Pulga Lopez sorride ma guarda già avanti. Il segreto sta non adagiarsi sugli allori e restare concentrati sull'obiettivo salvezza macinando più punti possibili. Quel che poi verrà dopo, quel che verrà in più, sarà tutto guadagnato, per la gioia di Cellino, per la gioia del popolo SARDO.
Il venticinquenne sardo Marco Sau, autore ieri di una strepitosa doppietta |
Fantastica viola
Oh Fiorentina, di ogni squadra ti vogliam regina. Cosi canta il passionale inno viola. Questo il sogno degli ultras del tifo fiorentino, sogno di un intera città che non ha mai smesso di crederci. Come è risaputo tutte le grandi storie, i grandi successi calcistici, partono da dei solidi, precisi, grandi progetti. A Firenze quest'estate si vociferava di riassemblamento di una squadra che nel finale di stagione scorso pativa i bassi fondi della classifica e perdeva quell'immagine da big del calcio italiano che una piazza come Firenze ha sempre sfoggiato. Lontani i tempi di Batigol e Rui Costa, Toldo tra i pali e le apparizioni nelle notti in Champions .Altre storie. A Firenze quest'estate si vociferava di rinnovo e cosi è stato. Delle Valle fa sul serio; convoca alla sua corte un grande direttore sportivo,ex Roma, che risponde al nome di Daniele Pradè. Quest'ultimo, assieme all'intero staff viola, imbastisce una squadra nuova rivoluzionandone l'intera rosa. La rottamazione attuata è sorprendente; i giocatori, quasi tutti nuovi, giocano con sinergie e movimenti come se giocassero insieme da tantissimo tempo. Suonano all'unisono la stessa musica, incantano la platea che applaude di rimando. A capitanare il battaglione un ottimo mister emergente, anch'egli ex Roma, che risponde al nome di Vincenzo Montella. Questi plasma la squadra in pochissimo tempo rendendola spavalda e concreta allo stesso tempo.I risultati parlano chiaro, il tecnico sta svolgendo un ottimo lavoro. Resta da chiarire un solo punto. Analizzando il mercato estivo attuato da altri club del nostro campionato nelle giornate afose della precedente sessione di calcio mercato, si può notare come le strategie di mercato possano variare da club a club. Forse è più semplice puntare sul nome noto che sul giocatore giovane, o su quello emergente, o su quello che attende valorizzazioni, o ancora su quello che necessità di minuti che precedentemente non gli sono stati concessi( o non ha saputo sfruttare). A Firenze la strategia di mercato è stata esemplare: i giocatori acquistati vertono su credenziali distaccate dal nome o dalle alte quotazioni. Un accurato lavoro d'equipe ha permesso l'individualizzazione di quei giocatori utili e funzionali ad un progetto preciso e che rispondono a quei standard precedentemente citati, utilizzando un modesto e non esagerato budget, al fine di poter visulaizzare il progresso nel tempo, con il duro lavoro, e non con la fretta degli immediati risultati. Il tempo è avverso, la calma è fondamentale. Firenze sa che il percorso è lungo e tortuoso, e che la pazienza paga. Ad oggi il raccolto è più che buono. Segnale questo che valorizza il fatto che quando si hanno degli ottimi atleti, delle persone competenti nello staff, un pubblico che sa aspettare e tanta, tantissima motivazione e voglia di lavorare e mettersi in gioco, i risultati arriveranno di sicuro. Plauso a Montella che ha saputo assemblare i cocci e costruire con cura un gruppo sulla base di quello che gli è stato scrupolosamente proposto. E chissà se gli inni, pian piano, si possano tramutare in semplici e meravigliose verità del calcio giocato. Per adesso l'inno cantato e l'euforia di un'intera piazza, possono bastare.
lunedì 12 novembre 2012
La domenica del pallone
Il calcio regala sempre spettacolo. Nelle giocate, nei gol fenomenali, nelle vittorie che non ti aspetti. In scena domenica è andato in onda un calcio matto, quello un pò sorprendente, che ti strozza l'urlo e ti fa arrabbiare. Negli anticipi di sabato vanno in scena Cagliari-Catania e Pescara-Juventus. Il Cagliari chiude una modesta gara a reti inviolate contro un buon Catania; il nuovo stadio merita applausi, i giocatori pure. La Juventus a Pescara gioca un super calcio, rifilando sei reti e ritrovando un Quagliarella( tripletta) in ottima forma che allontana le voci riguardo l'esasperata ricerca del top player. Cadono le milanesi e volano le avversarie. L'inter incassa una sconfitta inattesa contro un'Atalanta che vince con merito un match ben gestito e controllato dagli uomini di Colantuomo. Il Milan in casa si fa schiacciare da una Fiorentina sorprendente e brillante. Applausi a Vincenzo Montella. Il derby romano, sotto diluvio, vede vincente la Lazio che in svantaggio, trova le forze per assemblare un tris vincente che regalerà la vittoria al popolo biancoceleste. Palermo Sampdoria è la gara delle panchine roventi; la spuntano i rosanero per due a zero e Gasperini respira. Ferrara in allerta, ma la società, attualmente, è dalla sua. Al Torino basta un solo gol per aggiudicarsi i tre punti contro un Bologna sottottono. Il Napoli in rimonta affonda un Genoa partito bene poi smarritosi per strada. Chievo Udinese due pari e tanti rimpianti. A reti inviolate si conclude Parma Siena.
Un'altra domenica di vero calcio. Un'altra domenica del pallone.
Un'altra domenica di vero calcio. Un'altra domenica del pallone.
venerdì 9 novembre 2012
Rossoblù a caccia di punti
Il Cagliari è ancora vivo. Il ko ricevuto dalla squadra di Montella non deve assolutamente frenare gli entusiasmi. La partita di domenica scorsa con la Fiorentina si può considerare come una sorta di bocciatura, ma solo per metà. Già perchè nei primi quarantacinque minuti il Cagliari in campo c'era e si faceva sentire. Un Cagliari che nel reparto difensivo schierava un esordiente Murru( 18 anni ancora da compiere) e che a centrocampo pativa le assenze di due pilastri quali Nainggolan e Daniele Conti che domani, fortunatamente,saranno a disposizione di Pulga. Detto ciò, il primo tempo dei rossoblu è tutt'altro che da buttare all'aria. Ekdal e Casarini ( autore oltretutto del gol dei sardi) si propongono spesso e Cossu sguscia tra i due reparti con discreta facilità. All'intervallo le due squadre vanno negli spogliatoi sul risultato di 1 pari. Poi nel secondo tempo va in scena la festa viola. Ma questo è già acqua passata. L'ottima striscia di risultati positivi ottenuti dai rossoblu è stata interrotta ma può essere nuovamente intrapresa e ripercorsa.L'organico al completo offre garanzie e l'entusiasmo del gruppo trasmette ottime sensazioni. La piazza è calda, il pubblico ci crede. Domani sera, nell'anticipo delle 18, si presenta l'occasione del riscatto. L'occasione è ghiotta ( da non sottovalutare assolutamente però uno strepitoso Catania in ottimo stato di forma) per potersi rilanciare. Il nuovo stadio di Is Arenas sarà aperto al pubblico in ogni settore. Regalare una bella vittoria ai tifosi sarebbe il massimo.
Il capitano rossoblu Daniele Conti |
giovedì 8 novembre 2012
Le bandiere del calcio
La strepitosa rovesciata di Gigi Riva |
Ero un pargolo di soli sei anni quando è nata la mia grande passione per il calcio.
Son passati più di quarant'anni è il mondo del pallone ha subito una radicale metamorfosi, soprattutto lontano dal palcoscenico principale, lo stadio. Colpi di classe, entrate in tackle, errori arbitrali, oggi, vengono replicati a ripetizione su schermi televisivi che riproducono immagini sempre più perfette. Un vero è proprio mondo parallelo ha trasformato i calciatori in star ultra milionarie, accompagnati da procuratori senza scrupoli e giovani avvenenti donne con le quali riempono i gossip mediatici
Per noi bambini degli anni settanta, invece, non c'era calcio in televisione la domenica pomeriggio. Ci accontentavamo di riunirci, trepidanti e ansiosi, davanti alla radiolina di babbo, all'ascolto delle mirabolanti voci di “tutto il calcio minuto per minuto” come quella inconfondibile del mitico e compianto Sandro Ciotti per seguire e sognare le gesta dei nostri campioni. Le immagini salienti, viste più tardi su Novantesimo Minuto quasi sempre non rendevano giustizia a quanto la nostra fantasia aveva elaborato all'ascolto della radio.
L' unica alternativa, le figurine Panini e le invenzioni correlate, fatte di giochi, di scambi, in particolare con le introvabili figu come quella del mitico portiere orobico Pizzaballa.
Andare allo stadio, evento più unico che raro, diventava un'occasione da non perdere, una giornata memorabile, per vedere in azione il tuo campione preferito. La prima volta me la ricordo ancora, correva l'anno 1971 allo stadio S.Elia il Cagliari Campione d'Italia giocava contro il Napoli. La partita un pò deludente a dire il vero si concluse con un pareggio uno a uno. Ma per un bambino di sette anni, non poteva che essere stata la partita più bella del mondo.
Che tempi! Una provinciale poteva anche vincere lo scudetto e "giggirriva" come lo chiamavano e chiamano ancora i tifosi cagliaritani, declinava le offerte di trasferimento alle grandi squadre del nord quali Inter, Milan e Juventus. Allora non esisteva ancora la "Legge Bosman" e i calciatori raramente potevano rifiutare la cessione a un'altra società. Riva no! Lui ripudio la Juventus. Un campione, un uomo diventato un'icona per la Sardegna calcistica a suon di gol e per quella sua testarda voglia di restare a Cagliari.
Erano gli anni del mercato senza frontiere. Niente stranieri esclusi quelli che già giocavano in Italia. Anni in cui l'attaccamento alla maglia, ai propri tifosi, alla città venivano prima di tutto, anche in circostanze avverse.
Gigi Riva è forse l'esempio più eclatante, ma non l'unico. E' in buona compagnia! Ne citiamo alcuni certi di scordarne molti altri, tante erano in quegli anni le bandiere nel mondo del calcio: Gianni Rivera, Franco Baresi e Paolo Maldini bandiere intramontabili del tifo rossonero; Giacinto Facchetti, Sandro Mazzola, Giuseppe Bergomi idoli indimenticati del popolo neroazzurro; Giampiero Boniperti calciatore e presidente della Juventus per lunghissimi anni; Giacomo Bulgarelli fedele ai colori rossoblu del Bologna “che tremare il mondo fa”; Giancarlo Antognoni autentico totem della curva viola e Giorgione Chinaglia istrionico simbolo del tifoseria laziale. Citiamo anche campionissimi del calcio straniero, come Pelè eternamente fedele al Santos; Bob Charlton oltre seicento presenze con i red devils e Gento settecentosessantuno partite con la camiseta blanca del Real Madrid.
Bandiere che nel calcio moderno diventano sempre più rare sostituite da mercenari del pallone coperti d'oro da sceicchi e magnati, ormai padroni del calcio mondiale. Bandiere che ancora resistono, ultimi baluardi ormai sul viale del tramonto, come l'inossidabile argentino in nerazzurro Javier Zanetti, il gladiatore de Roma Francesco Totti o chi ha preferito emigrare in Australia (piuttosto che giocare con un'altra squadra italiana) come Alessandro Del Piero che, persino in serie B, non abbandonò la maglia bianconera.
Presto ci soffermeremo su ognuno di loro e su altri campioni e icone, nella speranza che certi valori non vadano mai perduti affinché in un prossimo futuro si possano ancora narrare le imprese e l'attaccamento alla maglia dei calciatori del ventunesimo secolo.
Per Fuorigioconline,
Zio Boicu
mercoledì 7 novembre 2012
Totti: classe e magia
Francesco Totti |
A Roma, questo ragazzo partito da Appio Latino, pian pian costruisce la storia. L'amore per i colori giallo rossi è unico, svincolato dalle logiche delle grandi vittorie europee e dei trasferimenti milionari. Roma e la Roma al di sopra di tutto, tempio consacrato delle gesta di un campione, dimora di un uomo divenuto re dopo i sette più famosi e che del calcio ,sapevan ben poco. Ammontano a 219 le reti siglate nel campionato di serie A . L'intero stivale applaude, consacra quel ragazzo che alla Fortitudo mosse i primi passi nel calcio giocato e che è stato capace di vincere uno scudetto nella squadra della sua città, senza mai voltarle le spalle, capace di onorare la maglia azzurra, capace di salire con essa sul tetto del mondo. Adesso Totti , 36 anni, guarda avanti. Le partite, le emozioni, i gol segnati non termineranno adesso. Obiettivo secondo posto.Quel secondo posto, nella classifica dei marcatori di sempre, è li a pochi passi. Gunnar Nordahl a 225 reti è un obiettivo possibile. Un'altro obiettivo, l'ennesima sfida. Sfida che si accende di record, classe e magia.
lunedì 5 novembre 2012
Peccato Imperatore
Adriano ai tempi dell'Inter |
Anzi" l’Imperatore". Già perché qualche anno fa non troppo lontano c’era un giocatore di nome Adriano Leite Ribeiro che faceva sognare popolo nerazzurro e calcio italiano. Si presentò con un gol al calcio che conta, un gol strepitoso contro il Real Madrid in una partita pre campionato, su violentissimo calcio di punizione. Era ancora tanto giovane e le speranze e i sogni di un futuro da campione ancora intatti. Poi divenne grande con l’Inter, dopo le parentesi con Parma e Fiorentina, e venne riconosciuto tra i migliori attaccanti del palcoscenico mondiale. Adriano ,che in passato conobbe la povertà, quella della favelas e dei calci al pallone a piedi nudi, in quei momenti da calciatore professionista realizzato assaporò la vita agiata che soldi e fama gli stavano offrendo. Gol a valanghe, difese strapazzate, l’Inter che divenne per un periodo Adriano-dipendente. Dopo gli anni sulla cresta dell’onda poi all’improvviso qualcosa cambia. Festini, alcool e scarso rendimento ne annunciavano il lento declino. L’Adriano che prima riempiva di gioia i cuori dei tifosi nerazzurri ora riempie i giornali riguardo le proprie bravate. Come nella vita di tutti i giorni, per una qualsiasi persona di questo globo, gli eccessi vanno dosati. Per lo più, per una persona famosa, fama e moderazione devono convivere unitamente; se la prima scavalca la seconda, il pericolo è alle porte. Cosi ecco che l'uomo Adriano continua ad inciampare. L’ attuale esperienza al Flamengo infatti pare oramai conclusa. L’annuncio del ritiro dal campo da gioco imminente. Altra bravata (allenamenti saltati, feste fino all'alba), altre accuse, altri eccessi. Peccato che l’immagine limpida e di incontrastata classe che un tempo padroneggiava nei campi da calcio si sia trasformata in offuscata e corrosa smania di eccedere, buttando cosi al vento anni di gloria conquistati a suon di gol e prestazioni da campione. Peccato Adriano. Peccato Imperatore.
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