martedì 11 dicembre 2012

Conti, 400 e quel cognome...

Il capitano del Cagliari Daniele Conti
Sono 400 le candeline che ha spento domenica il capitano rossoblù Daniele Conti. Una domenica amara per la squadra sarda che ha visto andare in frantumi la possibilità ghiotta di fare punti in casa contro un Chievo modesto e piuttosto fortunato. Amarezza per la sconfitta a parte, 400 tra i professionisti sono veramente un bottino da elogi. Il tutto con le maglie di Roma e Cagliari. I numeri parlano chiaro: 271 in serie A, 101 in serie b. Contando le partite di Coppa Italia sommiamo 27 presenze. Daniele, che a Cagliari ormai è la bandiera indiscussa, nonché capitano, nonché motore del centrocampo, piano piano si è levato di dosso quel cognome cosi pesante che richiama spesso le gesta di un altro Conti, Bruno, padre del giocatore e grande uomo simbolo di Roma e Nazionale. Domenica allo stadio Is Arenas era presente anch'egli con tutta la famiglia. Non poteva non esserci nel giorno in cui il numero 5 rossoblù tastava questo traguardo. Lontano quell'esordio in A sotto la guida di Carlos Bianchi. Parma-Roma del 24 novembre 1996. Il match terminò a reti inviolate. Fu l'inizio di un cammino tutto in salita dove le pressioni si facevano sentire. La piazza Roma probabilmente ci credette poco, forse anche perché quel nome stampato sulle spalle rievocava tempi lontani, felici e appaganti, dove Conti senior galoppava sulla fascia e faceva impazzire gli avversari. Ma ognuno ha la propria storia. Ognuno disegna a modo suo il proprio cammino. La forza di Conti junior è stata proprio questa: rimboccarsi le maniche e ritagliarsi un posto che conta nella massima serie, anche altrove, lontano dalla Capitale, lontano dalla sua città. E basta chiamarlo il figlio di Bruno.La Sardegna, Cagliari, il Cagliari lo hanno adottato a pieno. Una seconda casa, un secondo amore. Il capitano adesso guarda avanti e pensa a macinare punti salvezza. E c'è chi domenica, allo stadio Is Arenas ha sentito: "Ma quello è Bruno Conti, il padre di Daniele Conti...". Ironia della sorte, forse qualcosa è cambiato.

giovedì 6 dicembre 2012

Non solo calcio: tuffo nel mondo della muay thai


Fin da quando veniamo al mondo siamo costretti a combattere. Combattere contro un mondo nuovo, che fino a quel momento non conoscevamo. Poi il combattimento si riflette contro chi popola questo nuovo mondo e talvolta, la maggior parte delle volte, ci si ritrova a combattere anche contro se stessi. In fin dei conti la vita in se è una lotta. Una faticosa e straziante lotta. Lasciamo da parte per un attimo il calcio e proviamo a guardare oltre la staccionata. Esiste un mondo-sportivo- che in pochi conoscono, che in pochi apprezzano. Un mondo dove il dolore e la sofferenza si trasformano in forza, e perché no, magari anche in successo. Dove il sudore è sempre presente e la fatica in crescendo sprona a fare sempre di più. Forse non tutti conoscono la muay thai, la boxe tailandese, la più efficace tra le discipline di combattimento. A dir la verità ho conosciuto questa straordinaria disciplina di recente anche io. Un caro amico me l'ha fatta conoscere e pian piano ho imparato ad apprezzarne le caratteristiche e la filosofia che la contraddistingue. Il rigore, l'allenamento sodo, la costanza, la determinazione. Sono valori che, pur non avendo mai praticato questo sport, ho avuto modo di respirare apprezzando quanto di positivo essa riesca a trasmettere in tutti coloro che la praticano. "Dovrebbe avere più visibilità", pensai quando la conobbi. Per questo ho voluto intervistare Luca Corona, giovane atleta sardo, praticante thai da qualche anno.

Ciao Luca partiamo dagli esordi. Quando sei venuto a conoscenza di questa disciplina cosi lontana dalla nostra cultura?
Ciao, conobbi quest'arte quasi per caso, circa quattro anni fa. Stavo lavorando presso un Hotel vicino ad Arzachena e li incontrai un vecchio amico che mi convinse quasi per gioco a provare degli allenamenti riguardanti diverse arti marziali. Da subito rimasi colpito dal tipo di disciplina, allenamento e dedizione che rappresentava la Muay Thai. Un'arte allo stesso tempo flessibile, dura e dolorosa ma che se si riesce a comprendere anche minimamente riesce a riempirti di soddisfazioni. Da quel momento iniziai il mio allenamento quotidiano, inizialmente per conto mio a causa dei pochi soldi, da tre anni invece mi alleno in una palestra con un grande maestro e dei grandi compagni.

Cosa significa per te la thai?
Uno stile di vita, non esclusivamente uno sport. Significa dedizione, rispetto, sacrificio: sono cose che non si lavano sotto la doccia a fine allenamento. Ti forgiano dentro e, grazie a tutto questo, impari ad affrontare ogni problema della vita con la stessa voglia di combattere, di vincere. Impari a dare il tutto per tutto in ogni ambito, su tutto ciò che vuoi.

Come affronti l'allenamento e con quale costanza?  
Every day, sempre. A meno che non riesca a camminare o sia in coma mi alleno praticamente ogni giorno. Purtroppo mi sono affacciato tardi a questo mondo e il tempo perso va recuperato. Vedo tutto questo anche come un occasione per scappare dalla monotonia del mondo moderno: mangi, lavori, muori.

Pensi che un giorno possa diventare molto più che una passione?
Ovviamente faccio il massimo perchè questo avvenga, ma sono ben conscio che nella società e nella realtà in cui viviamo, vivere della propria passione è spesso solo un sogno. L'importante è dare il massimo in quello che si fa, sempre. I risultati si ottengono solo in questa maniera, non conosco altri modi. Se poi uno si accontenta, beh quello non sono io.

Che consiglio dai ai giovani che vogliono affacciarsi a questa disciplina?
Costanza, costanza e ancora costanza. Ci saranno dei momenti di sconforto, nei quali ci si sente inferiori agli altri. Delle volte magari anche fuori luogo. Bisogna sempre tener presente che non siamo noi a dover entrare in questo ambiente, ma è quest'ultimo che, tramite una stremante applicazione, deve entrare dentro di noi. Perché se una cosa non la vivi fino in fondo non saprai mai coglierne il significato più vero. Anche io, che ho visto soltanto piccole sfaccettature di quest'arte millenaria, farò di tutto al fine di poterne capire sempre più l'essenza e il significato.    

Luca Corona, 24 anni, giovane atleta sardo
 

martedì 4 dicembre 2012

Da quando il silenzio ha un prezzo?

Diego Armando Maradona junior
Il prezzo per il silenzio vale 1 milione di euro. Prezzo che Maradona, economicamente parlando, può tranquillamente permettersi. Prezzo che Maradona, umanamente parlando, poteva anche evitare di proporre. Il Pibe de Oro, tramite i suoi legali, ha agito di conseguenza (secondo quanto dichiarato): 1 milione di euro sborsati al figlio Diego Armando Maradona jr ( frutto della realazione con l'italiana Cristiana Sinagra) al fine di non rilasciare interviste ai media per parlare della loro situazione. Insomma un compromesso bello e buono che profuma- o puzza- di danaro. Il campione del pallone si professa però scontento e amareggiato dichiarando che il figlio ( con il quale ha più volte ribadito di non avere alcun legame affettivo) non ha rispettato gli accordi concedendosi ai microfoni e ai giornalisti. La risposta della controparte non tarda pertanto ad arrivare. Il primogenito dell'eroe di Napoli smentisce quanto affermato dal padre negando il tutto. "Mai ricevuto soldi per tacere" afferma indignato il ragazzo. "La nostra dignità non ha prezzo"- ribadisce, chiamando in causa anche la madre. Le contraddizioni tra le due parti fioccano a dismisura. Il punto da chiarire è pertanto il medesimo: chi professa il falso? L'indignazione del 26enne ex Cervia ( attualmente sotto contratto con il San Giorgio, squadra militante nel campionato di Eccelenza) pare sincera. Le vicende extracalcistiche del talento argentino invece non giovano a suo favore. Si aggrava cosi una relazione sentimentale padre-figlio mai decollata. Certo è che la "proposta indecente", vera o falsa che sia, si commenta da sola. L'ennesimo scivolone commesso da colui che rappresenta al meglio il connubio tra genio e sregolatezza. Il talento e i successi sul campo da gioco non si discutono. Come padre- invece- beh questa è un'altra storia.