martedì 27 novembre 2012

Wes, rumori e mal di pancia: segnale di un calcio malato

Wesley Sneijder

Al tempo dove il soldo svolazzava più liberamente, dove l’Italia era terra ambita da tutti i calciatori, e dai presidenti che maneggiavano cash come fosse un mucchio di noccioline, tutto era più semplice. La crisi dei nostri tempi detta altre strategie ed operazioni finanziarie differenti,  più consone all'attuale situazione. Nella precedente sessione di calcio mercato  abbiamo assistito alla prova più tangibile della crisi ( se crisi si può chiamare) che attanaglia il mondo del calcio. Via Lavezzi, Ibra, Thiago Silva, Maicon, Verratti, per fare qualche esempio .Pezzi pregiati del nostro calcio destinati ad un altro più ricco e senza piaghe economiche, senza sofferenza del conto in banca. Ciò però in Italia, anche se può sembrare un paradosso, ha portato una ventata positiva: calcio più giovane e stipendi più magri. Finalmente le rose dispongono di più “baby” giocatori e le cifre degli stipendi  sono più moderate, forse più accettabili dal mondo esterno, critico osservatore. In casa Inter però , giusto per citare un esempio, qualche rumore si fa sentire. Wesley Sneijder non ci sta. L’olandese guadagna 6 milioni netti e ha un contratto fino al 2015. La proposta dell’Inter circa l’indispensabile ed opportuno adeguamento del contratto pare non essere scelta gradita dal giocatore. Pertanto la società è stata chiara: o il giocatore accetta le condizioni o va via. Gennaio potrebbe segnare il capolinea di una storia fatta di vittorie e successi. Un altro pezzo del Triplete che migra presumibilmente verso terre più fertili. Ma il calcio è cosi, prendere o lasciare. E intanto i media si sbizzarriscono un po’. L’idea più fantasiosa, ovvero la scambio Sneijder-Pastore, renderebbe la partenza del talentuoso trequartista meno amara. Ma pare impossibile che l’ex palermitano (attualmente nella nuova capitale calcistica dell’oro) rifiuti gli ambiti quattrini degli sceicchi del PSG optando per un contratto più modesto. Chissà , staremo a vedere. Ciò che va sottolineato però è che il calcio deve ritornare ai tempi arcani. Dove gli stipendi non erano cosi faraonici e il senso di appartenenza alla squadra era più marcato e tangibile, azzarderei più sincero. Il calcio profuma quando passione e classe predominano sul danaro, quando la voglia di mettersi in gioco mostrando il proprio valore oltrepassa le barriere dell’ottica milionaria. È ora di rimettere in pista i vecchi valori: giocatori che scendono in campo per i compagni , per la propria squadra, per la società che li rappresenta, per la tifoseria. Non per il “Dio Danaro” che li manovra come burattini e li spinge a varcare i confini dove il calcio quasi quasi nemmeno esiste ma conta solo l’ingaggio propostogli sul piatto d'argento. Occorre non perdere il lume della ragione, altrimenti questo sport, da sport più bello del mondo rischia di retrocedere a sport più penoso del mondo. Giocatori - e mondo circostante- avvertiti.


sabato 24 novembre 2012

In bocca al lupo Pato

Alexandre Rodrigues Da Silva, noto Pato
Alexandre Pato, da talento del futuro a problema. Parabola discendente di un astro del calcio ancora non luccicante del tutto. Troppi problemi fisici, troppi infortuni, hanno condizionato tantissimo  rendimento e valore di mercato. Un giocatore, Pato, che deve ritrovarsi. A Milano o altrove? chissà. I due gol siglati di recente hanno rinvigorito leggermente il giocatore brasiliano, ma siamo ancora lontani dal papero che conosciamo. Un mix di velocità, agilità e senso del gol le sue caratteristiche principali. Giunto alla corte del Milan giovanissimo, Pato mostrò da subito il proprio valore, forse anche troppo. Il nuovo beniamino rossonero era pronto per sbancare il lunario. Poi un fisico un pò precario ne ha compromesso le prestazioni ma non il talento. Già perchè le magie e i colpi di classe, quelli non si dimenticano. La visita del patron rossonero a Milanello qualche giorno fa pare abbia giovato squadra e ambiente. Fiducia ad Allegri, fiducia a Pato, professa poi Galliani. Poi quell'intervista, nel dopo gara della partita di Champions di mercoledi contro l'Anderlecht, rilasciata dal giocatore,desta stupori. "Voglio giocare", afferma il papero ai microfoni.“Gioco poco, è in arrivo il mio procuratore” , ribadisce. Al che Berlusconi ribatte : "Pato è un problema, troppi problemi fisici per un ragazzo di soli 23 anni". Rapporto scricchiolante? Probabilmente si. Resta il fatto che, causa infortuni, metterlo sul mercato sarebbe un flop anche a livello economico. Il treno PSG carico di quattrini passato lo scorso inverno non passerà più, salvo colpi di scena. Inoltre il giocatore è patrimonio rossonero sul quale la dirigenza rossonera ha investito, perderlo adesso, o magari darlo in prestito, sarebbe un grave errore. Voci dal Brasile (sponda Corinthias) si fanno sentire. Il club brasiliano gradirebbe tanto la formula del prestito, in modo tale da rimettere in piedi un giocattolo troppo prezioso, dandogli maggiore spazio e puntando anche su di un'autostima decisamente a pezzi che necessità di essere lustrata. Tutto questo anche in prospettiva dei Mondiali 2014 che si disputeranno proprio in Brasile. Il ragazzo si farà, anche se alle spalle strette, cantava DeGregori... Dal canto nostro, auguriamo al giocatore un pizzico di fortuna in più che non guasta mai...In bocca al lupo Pato!


giovedì 22 novembre 2012

Di Matteo, esonero ingiusto

Non è bastata ad Abramovic la coppa dalle grandi orecchie. Non si è fatto addolcire nemmeno dal double con la conquista della FA Cup. Storie strane accadono nel mondo del calcio. A questo proposito sorge spontanea la domanda: ma un allenatore per tenersi salda la panchina che deve fare? Parliamo di Roberto Di Matteo, oramai ex tecnico dei Blues, subentrato lo scorso anno a stagione in corso ad un deludente Villas-Boas, del quale faceva l'assistente. Di Matteo raccolse una squadra in frantumi riconsegnandole carisma e lucentezza. Pian piano, con il suo arrivo, la macchina Chelsea cominciò a carburare, macinando punti e riacquisendo quella sicurezza tale da affrontare con spavalderia i match che contano. Ecco che cosi il tecnico italiano, il Normal One, ( come venne etichettato per i suoi modi pacati e lo scarso narcisismo) in silenzio porta la squadra in finale di Champions League. Il Chelsea, sotto la sua guida, conquista finalmente l'ambito trofeo, mai vinto nella storia del club e tanto osannato dal patron russo che, negli anni, ha investito un notevole patrimonio con il fine soprattutto di arrivare a tale scopo. Ma Di Matteo scarta gli elogi, li dribbla con abile maestria proiettando la grande impresa (ambita da tutti i tecnici) sul suo gruppo di giocatori che sono riusciti a sollevarsi dalla crisi che li aveva demoralizzati a inizio stagione. Come per non bastare, la piccola avventura dell'allenatore, conta anche un altro trofeo. Il Chelsea, sul quale pochi scommettevano, fa doppietta e si aggiudica anche la FA Cup. Tutto questo farebbe grande qualsiasi allenatore. Da quasi sconosciuto a grande mister, non semplice traghettatore come si suol dire, ma tecnico vincente. Ciò non basta però. La stagione in corso non ha un esordio fenomenale. I risultati sono un po altalenanti, la discontinuità è percepibile. Abramovic inizia a metter in allerta il proprio mister. Lo stesso mister che qualche tempo prima sollevava la coppa più prestigiosa e si ripeteva poi con un'altra, altrettanto prestigiosa. La batosta di martedi in Champions contro la Juventus si presenta come la goccia che fa traboccare il vaso; il risultato è chiaro: esonero. Con una nota sul sito ufficiale del club, la società ringrazia l'allenatore per il lavoro svolto e spiega la fine dei rapporti come mossa inevitabile per dare una scossa alla squadra, decisamente sottotono. Con il silenzio con il quale si era presentato, Di Matteo, alla stessa maniera, se ne va. Va via da vincente e questo gli rende onore. Il calcio a volte desta dei dubbi circa la sua coerenza psicologica. Un allenatore è vincente solo quando vince! Di Matteo ha vinto! Spiegatemi voi allora perché Di Matteo ha fatto le valigie e se ne è andato a casa...

Il tecnico italiano Roberto Di Matteo, ex allenatore del Chelsea

martedì 20 novembre 2012

Juve-Chelsea: vietato sbagliare

Lo Juventus Stadium, tempio bianconero
In uno stadio gremito di speranze e sogni la Juve questa sera può sfidare il destino calcistico. Stasera, arginate le polemiche, obiettivo tre punti. La battaglia che l'attende non è delle più semplici. L'avversario, il Chelsea di Roberto Di Matteo, campione in carica, è una brutta bestia. Dentro o fuori. Vivere o morire. I bianconeri, a causa dell'andamento tortuoso e poco brillante di questa prima fase di Champions, dovranno dare il massimo per superare lo scoglio Blues ed ambire agli ottavi di finale. Una squadra, quella di Conte, che anche nei momenti meno entusiasmanti, ha sempre combattuto fino alla fine e dimostrato di non arrendersi facilmente. Segnale questo che fan ben sperare il popolo bianconero che questa sera allo Juventus Stadium si presenterà numeroso e vivace ma soprattutto con la consapevolezza di potercela fare. Conte si aspetta una bolgia, il tifo non deluderà. L'impresa in casa bianconera si sussurra a bassa voce. Il turn over impiegato dal tecnico italiano nella precedente gara di Premier (persa con il West Bromwich) fa capire quanto la gara di oggi fosse accuratamente studiata e ben pianificata dagli inglesi; è da tener conto però anche che ,turn over a parte, i Blues non stanno attraversando un momento particolarmente brillante e Di Matteo sa di essere in discussione. La Juventus a 6 punti, terza nel girone, sta alle spalle di Chelsea e Shakhtar entrambe capoliste a 7 punti. Necessari 4 punti; 3 di questi conquistati stasera sarebbe il massimo. Gli uomini di Conte si trovano pertanto ad un bivio che a inizio stagione pareva impensabile. Questa la partita probabilmente più importante dell'anno.Lo spettacolo ,per gli amanti delle sfide e del bel calcio, questa notte farà tappa a Torino.



lunedì 19 novembre 2012

Il Cagliari brilla a San Siro sotto il segno di Marco Sau

A Milano si è celebrata ieri la festa rossoblù. Quello di ieri pomeriggio allo Stadio Meazza in San Siro è stato un Cagliari che ha proposto un ottimo calcio senza timore nell'affrontare una squadra ben più equipaggiata come l'Inter. Gli uomini di Pulga da subito mettono in chiaro l'intenzione di voler fare la partita giocandosela a viso aperto. Lo svantaggio ad opera di Palacio su geniale assist di Cassano non frena lo spiccato entusiasmo rossoblù. La squadra sarda che presenta il tridente composto da Cossu-Nenè-Sau, si rende immediatamente pericolosa. Sulla fascia sinistra numerosi sono gli spunti del fluidificante mancino rossoblù Danilo Avelar; nella mediana Conti e Nainggolan mostrano padronanza di palleggio, la difesa risponde bene. Il gol di Sau, nel finale di primo tempo, premia il coraggio e gli spunti di una squadra che in precedenza ha trovato difficoltà nel superare il numero uno nerazzurro Samir Handanovic, in ottimo stato di forma. Primo tempo concluso e le due squadre vanno negli spogliatoi su punteggio di uno pari. La seconda parte del match si gioca ad armi pari; entrambe le controparti vogliono portarsi in vantaggio. A spuntarla però sono i rossoblù che, grazie ad una strepitosa acrobazia di Pinilla( subentrato a Nenè) e il guizzo di Sau che raccoglie il pallone precedentemente stampatosi sul palo su invenzione del cileno, mette a sedere tre uomini nerazzurri e di sinistro insacca siglando la sua doppietta personale. Da qui parte l'assedio interista. Gli uomini di Stramaccioni vogliono approfittare del mezzo passo falso dei bianconeri nell'anticipo contro la Lazio per potersi avvicinare ancor più alla vetta. Ma le avanzate interiste si scontrano con il muro rossoblù costruito da un grande Agazzi che al termine della gara, verrà premiato come uomo partita. Il pari nerazzurro arriva su autogol di Astori e grazie all'iniziativa del neo entrato Alvarez. Dopodichè s'accendono le polemiche. Ranocchia cade in area di rigore, poco oltre la linea, su contatto con Astori. L'arbitro non concede il penalty e scatta l'ira interista. Stramaccioni espulso, Moratti furioso negli spalti e nel dopo gara rilasciando dichiarazioni scottanti. Polemiche futili a parte, che rendono poco onore al calcio giocato e allo spettacolo che questi può presentare, il pari rossoblù in terra straniera è più che meritato. Il Cagliari, questo Cagliari, non deve aver paura di nessuno. La squadra, consapevole dei propri mezzi e conscia di avere un buon organico che può dar vita a delle prestazioni decisamente buone, può togliersi diverse soddisfazioni. Intanto la coppia Pulga Lopez sorride ma guarda già avanti. Il segreto sta non adagiarsi sugli allori e restare concentrati sull'obiettivo salvezza macinando più punti possibili. Quel che poi verrà dopo, quel che verrà in più, sarà tutto guadagnato, per la gioia di Cellino, per la gioia del popolo SARDO.

Il venticinquenne sardo Marco Sau, autore ieri di una strepitosa doppietta


Fantastica viola

Oh Fiorentina, di ogni squadra ti vogliam regina. Cosi canta il passionale inno viola. Questo il sogno degli ultras del tifo fiorentino, sogno di un intera città che non ha mai smesso di crederci. Come è risaputo tutte le grandi storie, i grandi successi calcistici, partono da dei solidi, precisi, grandi progetti. A Firenze quest'estate si vociferava di riassemblamento di una squadra che nel finale di stagione scorso pativa i bassi fondi della classifica e perdeva quell'immagine da big del calcio italiano che una piazza come Firenze ha sempre sfoggiato. Lontani i tempi di Batigol e Rui Costa, Toldo tra i pali e le apparizioni nelle notti in Champions .Altre storie. A Firenze quest'estate si vociferava di rinnovo e cosi è stato. Delle Valle fa sul serio; convoca alla sua corte un grande direttore sportivo,ex Roma, che risponde al nome di Daniele Pradè. Quest'ultimo, assieme all'intero staff viola, imbastisce una squadra nuova rivoluzionandone l'intera rosa. La rottamazione attuata è sorprendente; i giocatori, quasi tutti nuovi, giocano con sinergie e movimenti come se giocassero insieme da tantissimo tempo. Suonano all'unisono la stessa musica, incantano la platea che applaude di rimando. A capitanare il battaglione un ottimo mister emergente, anch'egli ex Roma, che risponde al nome di Vincenzo Montella. Questi plasma la squadra in pochissimo tempo rendendola spavalda e concreta allo stesso tempo.I risultati parlano chiaro, il tecnico sta svolgendo un ottimo lavoro. Resta da chiarire un solo punto. Analizzando il mercato estivo attuato da altri club del nostro campionato nelle giornate afose della precedente sessione di calcio mercato, si può notare come le strategie di mercato possano variare da club a club. Forse è più semplice puntare sul nome noto che sul giocatore giovane, o su quello emergente, o su quello che attende valorizzazioni,  o ancora su quello che necessità di minuti che precedentemente non gli sono stati concessi( o non ha saputo sfruttare). A Firenze la strategia di mercato è stata esemplare: i giocatori acquistati vertono su credenziali distaccate dal nome o dalle alte quotazioni. Un accurato lavoro d'equipe ha permesso l'individualizzazione di quei giocatori utili e funzionali ad un progetto preciso e che rispondono a quei standard precedentemente citati, utilizzando un modesto e non esagerato budget, al fine di poter visulaizzare il progresso nel tempo, con il duro lavoro, e non con la fretta degli immediati risultati. Il tempo è avverso, la calma è fondamentale. Firenze sa che il percorso è lungo e tortuoso, e che la pazienza paga. Ad oggi il raccolto è più che buono. Segnale questo che valorizza il fatto che quando si hanno degli ottimi atleti, delle persone competenti nello staff, un pubblico che sa aspettare e tanta, tantissima motivazione e voglia di lavorare e mettersi in gioco, i risultati arriveranno di sicuro. Plauso a Montella che ha saputo assemblare i cocci e costruire con cura un gruppo sulla base di quello che gli è stato scrupolosamente proposto. E chissà se gli inni, pian piano, si possano tramutare in semplici e meravigliose verità del calcio giocato. Per adesso l'inno cantato e l'euforia di un'intera piazza, possono bastare.

lunedì 12 novembre 2012

La domenica del pallone

Il calcio regala sempre spettacolo. Nelle giocate, nei gol fenomenali, nelle vittorie che non ti aspetti. In scena domenica è andato in onda un calcio matto, quello un pò sorprendente, che ti strozza l'urlo e ti fa arrabbiare. Negli anticipi di sabato vanno in scena Cagliari-Catania  e Pescara-Juventus. Il Cagliari chiude una modesta gara a reti inviolate contro un buon Catania; il nuovo stadio merita applausi, i giocatori pure. La Juventus a Pescara gioca un super calcio, rifilando sei reti e ritrovando un Quagliarella( tripletta) in ottima forma che allontana le voci riguardo l'esasperata ricerca del top player. Cadono le milanesi e volano le avversarie. L'inter incassa una sconfitta inattesa contro un'Atalanta che vince con merito un match ben gestito e controllato dagli uomini di Colantuomo. Il Milan in casa si fa schiacciare da una Fiorentina sorprendente e brillante. Applausi a Vincenzo Montella. Il derby romano, sotto diluvio, vede vincente la Lazio che in svantaggio, trova le forze per assemblare un tris vincente che regalerà la vittoria al popolo biancoceleste. Palermo Sampdoria è la gara delle panchine roventi; la spuntano i rosanero per due a zero e Gasperini respira. Ferrara in allerta, ma la società, attualmente, è dalla sua. Al Torino basta un solo gol per aggiudicarsi i tre punti contro un Bologna sottottono. Il Napoli in rimonta affonda un Genoa partito bene poi smarritosi per strada. Chievo Udinese due pari e tanti rimpianti. A reti inviolate si conclude Parma Siena.
Un'altra domenica di vero calcio. Un'altra domenica del pallone.



venerdì 9 novembre 2012

Rossoblù a caccia di punti

Il Cagliari è ancora vivo. Il ko ricevuto dalla squadra di Montella non deve assolutamente frenare gli entusiasmi. La partita di domenica scorsa con la Fiorentina si può considerare come una sorta di bocciatura, ma solo per metà. Già perchè nei primi quarantacinque minuti il Cagliari in campo c'era e si faceva sentire. Un Cagliari che nel reparto difensivo schierava un esordiente Murru( 18 anni ancora da compiere) e che a centrocampo pativa le assenze di due pilastri quali Nainggolan e Daniele Conti che domani, fortunatamente,saranno a disposizione di Pulga. Detto ciò, il primo tempo dei rossoblu è tutt'altro che da buttare all'aria. Ekdal e Casarini ( autore oltretutto del gol dei sardi) si propongono spesso e Cossu sguscia tra i due reparti con discreta facilità. All'intervallo le due squadre vanno negli spogliatoi sul risultato di 1 pari. Poi nel secondo tempo va in scena la festa viola. Ma questo è già acqua passata. L'ottima striscia di risultati positivi ottenuti dai rossoblu è stata interrotta ma può essere nuovamente intrapresa e ripercorsa.L'organico al completo offre garanzie e l'entusiasmo del gruppo trasmette ottime sensazioni. La piazza è calda, il pubblico ci crede. Domani sera, nell'anticipo delle 18, si presenta l'occasione del riscatto. L'occasione è ghiotta ( da non sottovalutare assolutamente però uno strepitoso Catania in ottimo stato di forma) per potersi rilanciare. Il nuovo stadio di Is Arenas sarà aperto al pubblico in ogni settore. Regalare una bella vittoria ai tifosi sarebbe il massimo.
Il capitano rossoblu Daniele Conti

giovedì 8 novembre 2012

Le bandiere del calcio


La strepitosa rovesciata di Gigi Riva
Ero un pargolo di soli sei anni quando è nata la mia grande passione per il calcio.
Son passati più di quarant'anni è il mondo del pallone ha subito una radicale metamorfosi, soprattutto lontano dal palcoscenico principale, lo stadio. Colpi di classe, entrate in tackle, errori arbitrali, oggi, vengono replicati a ripetizione su schermi televisivi che riproducono immagini sempre più perfette. Un vero è proprio mondo parallelo ha trasformato i calciatori in star ultra milionarie, accompagnati da procuratori senza scrupoli e giovani avvenenti donne con le quali riempono i gossip mediatici
Per noi bambini degli anni settanta, invece, non c'era calcio in televisione la domenica pomeriggio. Ci accontentavamo di riunirci, trepidanti e ansiosi, davanti alla radiolina di babbo, all'ascolto delle mirabolanti voci di “tutto il calcio minuto per minuto” come quella inconfondibile del mitico e compianto Sandro Ciotti per seguire e sognare le gesta dei nostri campioni. Le immagini salienti, viste più tardi su Novantesimo Minuto quasi sempre non rendevano giustizia a quanto la nostra fantasia aveva elaborato all'ascolto della radio.
L' unica alternativa, le figurine Panini e le invenzioni correlate, fatte di giochi, di scambi, in particolare con le introvabili figu come quella del mitico portiere orobico Pizzaballa. 
Andare allo stadio, evento più unico che raro, diventava un'occasione da non perdere, una giornata memorabile, per vedere in azione il tuo campione preferito. La prima volta me la ricordo ancora, correva l'anno 1971 allo stadio S.Elia il Cagliari Campione d'Italia giocava contro il Napoli. La partita un pò deludente a dire il vero si concluse con un pareggio uno a uno. Ma per un bambino di sette anni, non poteva che essere stata la partita più bella del mondo.
Che tempi! Una provinciale poteva anche vincere lo scudetto e "giggirriva" come lo chiamavano e chiamano ancora i tifosi cagliaritani, declinava le offerte di trasferimento alle grandi squadre del nord quali Inter, Milan e Juventus. Allora non esisteva ancora la "Legge Bosman" e i calciatori raramente potevano rifiutare la cessione a un'altra società. Riva no! Lui ripudio la Juventus. Un campione, un uomo diventato un'icona per la Sardegna calcistica a suon di gol e per quella sua testarda voglia di restare a Cagliari.
Erano gli anni del mercato senza frontiere. Niente stranieri esclusi quelli che già giocavano in Italia. Anni in cui l'attaccamento alla maglia, ai propri tifosi, alla città venivano prima di tutto, anche in circostanze avverse.
Gigi Riva è forse l'esempio più eclatante, ma non l'unico. E' in buona compagnia! Ne citiamo alcuni certi di scordarne molti altri, tante erano in quegli anni le bandiere nel mondo del calcio: Gianni Rivera, Franco Baresi e Paolo Maldini bandiere intramontabili del tifo rossonero; Giacinto Facchetti, Sandro Mazzola, Giuseppe Bergomi idoli indimenticati del popolo neroazzurro; Giampiero Boniperti calciatore e presidente della Juventus per lunghissimi anni; Giacomo Bulgarelli fedele ai colori rossoblu del Bologna “che tremare il mondo fa”; Giancarlo Antognoni autentico totem della curva viola e Giorgione Chinaglia istrionico simbolo del tifoseria laziale. Citiamo anche campionissimi del calcio straniero, come Pelè eternamente fedele al Santos; Bob Charlton oltre seicento presenze con i red devils e Gento settecentosessantuno partite con la camiseta blanca del Real Madrid. 
Bandiere che nel calcio moderno diventano sempre più rare sostituite da mercenari del pallone coperti d'oro da sceicchi e magnati, ormai padroni del calcio mondiale. Bandiere che ancora resistono, ultimi baluardi ormai sul viale del tramonto, come l'inossidabile argentino in nerazzurro Javier Zanetti, il gladiatore de Roma Francesco Totti o chi ha preferito emigrare in Australia (piuttosto che giocare con un'altra squadra italiana) come Alessandro Del Piero che, persino in serie B, non abbandonò la maglia bianconera.
Presto ci soffermeremo su ognuno di loro e su altri campioni e icone, nella speranza che certi valori non vadano mai perduti affinché in un prossimo futuro si possano ancora narrare le imprese e l'attaccamento alla maglia dei calciatori del ventunesimo secolo.

Per Fuorigioconline,
Zio Boicu




mercoledì 7 novembre 2012

Totti: classe e magia

Francesco Totti
Classe e magia. Sport e fantasia. Si chiama Francesco Totti , il capitano, e di mestiere fa il calciatore. Già il calciatore, sogno di tanti ragazzi che, fin dalla giovane età, inseguono un pallone sferrandogli i primi calci.Una fede, quella per il pallone, che sfida ogni corrente di pensiero e si consacra nella collettività come vera e propria passione. Tanti sono arrivati al calcio che conta;tanti sono i calciatori professionisti. Ne esistono di tutti i tipi. Ci sono quelli talentuosi, quelli che spezzano il gioco, quelli che fanno ripartire la manovra, quelli che parano, quelli che vanno su e giù per la fascia. Poi infine esiste una categoria a parte; una categoria che racchiude l'essenza sbarazzina del calcio, che contiene quei giocatori che la storia non dimenticherà e che consacrerà in eterno.Tra questi un ragazzo, classe 1976, numero dieci e tanta roba.
A Roma, questo ragazzo partito da Appio Latino, pian pian costruisce la storia. L'amore per i colori giallo rossi è unico, svincolato dalle logiche delle grandi vittorie europee e dei trasferimenti milionari. Roma e la Roma al di sopra di tutto, tempio consacrato delle gesta di un campione, dimora di un uomo divenuto re dopo i sette più famosi e che del calcio ,sapevan ben poco. Ammontano a 219 le reti siglate nel campionato di serie A . L'intero stivale applaude, consacra quel ragazzo che alla Fortitudo mosse i primi passi nel calcio giocato e che è stato capace di vincere uno scudetto nella squadra della sua città, senza mai voltarle le spalle, capace di onorare la maglia azzurra, capace di salire con essa sul tetto del mondo. Adesso Totti , 36 anni, guarda avanti. Le partite, le emozioni, i gol segnati non termineranno adesso. Obiettivo secondo posto.Quel secondo posto, nella classifica dei marcatori di sempre, è li a pochi passi. Gunnar Nordahl a 225 reti è un obiettivo possibile. Un'altro obiettivo, l'ennesima sfida. Sfida che si accende di record, classe e magia.

lunedì 5 novembre 2012

Peccato Imperatore


Adriano ai tempi dell'Inter
Altri tempi quando a Milano viveva un imperatore.
Anzi" l’Imperatore". Già perché qualche anno fa non troppo lontano c’era un giocatore di nome Adriano Leite Ribeiro che faceva sognare popolo nerazzurro e calcio italiano. Si presentò con un gol al calcio che conta, un gol strepitoso contro il Real Madrid in una partita pre campionato, su violentissimo calcio di punizione. Era ancora tanto giovane e le speranze e i sogni di un futuro da campione ancora intatti. Poi divenne grande con l’Inter, dopo le parentesi con Parma e Fiorentina, e venne riconosciuto tra i migliori attaccanti del palcoscenico mondiale. Adriano ,che in passato conobbe la povertà, quella della favelas e dei calci al pallone a piedi nudi, in quei momenti da calciatore professionista realizzato assaporò la vita agiata che soldi e fama gli stavano offrendo. Gol a valanghe, difese strapazzate, l’Inter che divenne per un periodo Adriano-dipendente. Dopo gli anni sulla cresta dell’onda poi all’improvviso qualcosa cambia. Festini, alcool e scarso rendimento ne annunciavano il lento declino. L’Adriano che prima riempiva di gioia i cuori dei tifosi nerazzurri ora riempie i giornali riguardo le proprie bravate. Come nella vita di tutti i giorni, per una qualsiasi persona di questo globo, gli eccessi vanno dosati. Per lo più, per una persona famosa, fama e moderazione devono convivere unitamente; se la prima scavalca la seconda, il pericolo è alle porte. Cosi ecco che l'uomo Adriano continua ad inciampare. L’ attuale esperienza al Flamengo infatti pare oramai conclusa. L’annuncio del ritiro dal campo da gioco imminente. Altra bravata (allenamenti saltati, feste fino all'alba), altre accuse, altri eccessi. Peccato che l’immagine limpida e di incontrastata classe che un tempo padroneggiava nei campi da calcio si sia trasformata in offuscata e corrosa smania di eccedere, buttando cosi al vento anni di gloria conquistati a suon di gol e prestazioni da campione. Peccato Adriano. Peccato Imperatore.

sabato 3 novembre 2012

Molto più che una semplice partita...

Ci sono notti sportive che meritano di essere vissute. Notti del pallone, attese, che regalano emozioni, generano speranze. Minuti su di un campo di gioco che scorrono lenti, cuore che batte forte, stomaco chiuso.Questo è Juventus-Inter, molto più che una semplice partita. Derby d'Italia, prima contro seconda, continuità e sorpresa. Da sempre questa gara si accende di emozioni: colora gli spalti, da voce alla passione, fa gioire una curva. Spettacolo e magia, grinta e carattere, gol e fantasia. Due squadre che da sempre si contendono lo scettro dei campioni. Due squadre che s'affrontano da nemiche-rivali. Due squadre che si odiano e si amano, perchè l'una necessita dell'altra per poter primeggiare, perchè senza entrambe non sarebbe partita. Episodi, contestazioni, litigi. Poi ancora sentenze, scudetti contesi, campioni che vanno e vengono. Bandiere che partono, ma non dimenticano casa. Bandiere che seppur lontane, vivono con medesimo fervore, ogni attimo in cui il pallone scorre sul manto verde. Non esiste derby d'Italia senza positive e concitate provocazioni. Alla fine dei conti, che calcio sarebbe senza sfottò; senza quella voglia matta di urlare all'amico/nemico tifoso della squadra opposta " Tanto vinciamo noi". Già "vinciamo noi" , perchè vinciamo noi significa appartenenza, attaccamento a dei colori e a delle bandiere che diventan proprie e non s'abbandonano mai.
Questa sera andrà in campo il calcio. Con le sue diversità e i suoi punti in comune. Ma sarà puro agonismo, battaglia e spettacolo allo stato puro.Allo Juventus Stadium in Torino, Juventus- Inter. I bianconeri, capolisti e imbattutti, capitanati da un leader carismatico quale è Antonio Conte, sfruttano il fattore campo e la sicurezza di un potenziale di primissima qualità. I nerazzurri, secondi e in gran forma, affrontano la Juve nel loro miglior momento, sotto la guida di un esordiente ma preparato mister che si chiama Andrea Stramaccioni.
Lo spettacolo è assicurato. Questo è il derby d'Italia, molto più che una semplice partita...